Francesca Zinetti, Autore a Laboratorio delle Idee

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Labidee Da Vedere: DAVID BOWIE IS

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C’è un evento in città assolutamente imperdibile, ed è la mostra DAVID BOWIE IS.

L’esposizione, partita da Londra nel 2013, dove ha registrato circa 1,4 milioni di visitatori, dopo essere stata a Chicago, San Paolo, Toronto, Parigi, Berlino, Melbourne e Groningen, è approdata il 14 luglio a Bologna e sino al 13 novembre 2016 è visitabile al MAMbo, unica tappa italiana.

Con più di 300 oggetti del suo archivio personale, DAVID BOWIE IS sembra raccontare tutte le tonalità di un artista che osservando il mondo lo ha fatto proprio, reinterpretandolo e portandolo in scena con sé, attraverso di sé. Un’icona che ha incarnato al massimo livello lo spirito delle cinque decadi che ha attraversato. Uno dei rari che passando tra le ispirazioni della Storia, dell’Arte, del Design e della Performance, è riuscito dove altri non potrebbero mai: impersonare l’estro e gli stimoli della Cultura e restituirli al mondo alla massima evidenza.

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Il primo impatto, all’ingresso della mostra, è quello di un’immersione subacquea. Si prende fiato e lo si trattiene durante la visita intera, estraniati dalla folla e persi nella musica e nelle parole che dalle cuffie in dotazione accompagnano da una sala all’altra. Non ci sono pulsantini da schiacciare e numeri da ricondurre alle didascalie: la voce di Bowie –caldissima- arriva da sola, le note attaccano all’improvviso ma dolcemente, tutto inizia con precisione dove è previsto, come una colonna sonora perfettamente armonizzata al percorso.

DAVID BOWIE IS è un paesaggio multimediale, che attraverso video, musica e installazioni, accoglie nel processo creativo dell’artista.

Si parte dagli anni londinesi, quando David di cognome faceva ancora Robert Jones ed era un adolescente nei primi anni Sessanta che viveva una vita senza scossoni ma con un incontenibile bisogno di musica.

La stanza successiva è tutta dedicata alla nascita di una stella, o meglio di un universo intero. E’ il David di Space Oddity, di Major Tom e della Terra vista da lontano, del senso di isolamento generato da 2001: Odissea nello Spazio di Kubrick e dal primo allunaggio avvenuto appena una settimana dopo l’uscita del brano.

Seconda stella a destra, è la sala di Starman, con il testo scritto a mano incorniciato alla parete e una quinta specchiata in cui passa il video del provocante live a Top of The Pops nel 1972, mentre si erge in tutta la sua spettacolarità la tuta di Ziggy Stardust ispirata ai druidi di Arancia Meccanica: come disse Bowie “un’idea dada: violenza estrema, ma in tessuti liberty”.

Ma l’esposizione racconta anche la minuziosa ricerca di Bowie, che -è evidente- non delegava a nessuno alcun aspetto della sua Arte. Ogni oggetto della mostra rivendica una presenza costante del Duca Bianco, dalle scelte di stile (spettacolari gli abiti di Kansai Yamamoto e di Alexander McQueen –che in un biglietto si scusa tanto con David “per il ritardo nella consegna dei bozzetti” del cappotto Union Jack) alla grafica degli album, rigorosamente impostata, studiata e approvata da lui stesso, alla ricerca continua di nuove forme di composizione, come ad esempio la tecnica letteraria del cut-up perfezionata negli anni Novanta nel sorprendente Verbasizer, un software in grado di generare canzoni a partire da frasi random (come spiega magnificamente Bowie stesso qui).

In scena c’è dunque il performer, ma anche un Bowie più privato, quello che si ritira a Berlino con Iggy Pop tra il 1976 e il 1979 quando la fama ha un retrogusto di imposizione (gli anni di sperimentazione, di riscoperta della pittura e di normalità, un buen ritiro da cui nasce il capolavoro Heroes), o il Bowie che dimostra tutta l’abilità da mimo appresa da Lindsay Kemp in The Mask, l’angosciante prigionia di una maschera di sorrisi strappa-applausi messa su per troppo tempo.

Tanto altro è da vedere, leggere, ascoltare e ammirare in mostra e l’ultima sala –di cui è un crimine anticipare una descrizione- vi lascerà senza parole. DAVID BOWIE IS è un’esposizione in cui ci si perde, e con ogni probabilità è giusto che sia così, perché raccontare l’uomo e artista David Bowie è parlare di cinquant’anni che hanno fatto la Storia e che in una persona sola si sono fatti mito.

Forse è per questo che usciti dalla mostra il sapore che resta, al di là del genio e della celebrazione, è quello di una vaga malinconia, sapendo di aver perso qualcuno che avrebbe potuto raccontarci ancora quanto è magnifico potersi dire: “I don’t know where I’m going from here, but I promise it won’t be boring”.

 

Info
DAVID BOWIE IS
MAMbo, Via Don Minzoni 14 Bologna
Orari di apertura:
martedì, mercoledì, venerdì, domenica e festivi h 10.00 – 19.00 (chiusura biglietteria h 18.00)
giovedì e sabato h 10.00 – 23.00 (chiusura biglietteria h 22.00)
chiuso il lunedì
Tempo minimo di visita della mostra: 1 h.

Villa Guastavillani, sede della BBS

Innovazione alla BBS: la Motor Valley svela i segreti del successo

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La Bologna Business School è la scuola di Business dell’Università di Bologna. La sua sede è Villa Guastavillani, una meravigliosa residenza cinquecentesca che sovrasta la città dai colli e che ospita ogni anno più di 600 studenti provenienti da 80 Paesi del mondo.

Massimo Bergami, Dean BBS con Romano Prodi e Claudio Domenicali, CEO Ducati Motor Holding

Massimo Bergami, Dean BBS con Romano Prodi e Claudio Domenicali, CEO Ducati Motor Holding

Nello scorso dicembre, in collaborazione con Philip Morris Italia, BBS ha ospitato un ciclo di 5 incontri dedicati al tema dell’innovazione. Relatori, i top manager della ben nota Motor Valley: Dallara, Ducati, VisLab, Lamborghini e Ferrari, sono state le aziende protagoniste degli Innovation Talks, rivolti alla Community della Scuola ma estesi anche a chi avesse interesse a scoprirne di più sulle eccellenze del nostro territorio.

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Siamo stati felici di collaborare con la Bologna Business School, non solo perché è una realtà di formazione dal respiro internazionale, all’avanguardia nelle modalità di insegnamento così come nei temi proposti ai propri studenti (dai prestigiosi GLOBAL MBA ai MASTER di Gestione d’Impresa con focus al MADE IN ITALY), ma anche perché, seppur rivolti al contesto ben preciso dell’industria automotive, gli incontri che abbiamo seguito sono stati un’occasione fantastica per ripensare il ruolo dell’innovazione anche all’interno della nostra quotidianità.

Come tutti i grandi temi, anche quello dell’innovazione, infatti, ha il grande valore di poter essere applicato non solo alla propria professione, indipendentemente dal settore cui appartiene, ma, nei suoi suggerimenti che diventano quasi massime universali, anche nella propria vita privata.

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Ecco cosa abbiamo imparato:

VOLER ESSERE I PRIMI Applicare esperienza e impegno per essere il primo a realizzare un progetto, mai uno fra tanti, perché nel primo caso sei il migliore in quello che fai, nel secondo un follower.

MA PENSARE DA SECONDI Per non perdere la spinta a migliorarsi e dunque a innovare, avere la saggezza di considerarsi secondi anche quando si è ai vertici.

CON PASSIONE In tutte le esperienze raccontate, il filo conduttore è stata la passione di chi non si accontenta, la grinta che sostiene anche quando i risultati non arrivano, la determinazione di continuare a provare.

E COLLABORAZIONE Non si arriva da nessuna parte se non con qualcuno al proprio fianco. Il team e la sinergia che in tanti casi si crea tra i suoi componenti sono sempre più spesso il motore di nuove imprese, il collante che tiene in piedi la sperimentazione, il motivo per cui un successo –condiviso- non dà alla testa.

CREANDO CONNESSIONI Mettere in collegamento esperienze, racconti, episodi, notizie. La connessione di punti che all’apparenza sembrano estranei gli uni agli altri, crea una mappa di orientamento entro cui muoversi con coordinate più precise.

PRESTANDO ATTENZIONE Un relatore, citando il proprio nonno, ha ricordato l’antico detto popolare: “Se abbiamo una sola bocca, ma due orecchie, è per un buon motivo”. Saper tacere le proprie convinzioni a favore dell’ascolto, è sempre il principio di una strada nuova. Non tutto è utile, non tutto è interessante, spesso non tutto è intelligente, ma tutto resta uno stimolo per scegliere la propria direzione.

NON TEMENDO L’ERRORE Commettere uno sbaglio è fondamentale nell’esperienza. Permette di prendere le misure con se stessi, con le proprie capacità, consente di riconoscere le scelte deboli e di non ripeterle. La paura di commettere un errore non deve quindi allontanare dal tentativo ex-novo, perché forse proprio da quel salto nel vuoto (comunque ragionato), dalla sicura tradizione si balzerà in avanti, nell’innovazione che rende unici e migliori.

Credo che si possa dire di avere una professione soddisfacente quando si ha modo di imparare il nuovo in quello che si fa, dalle persone con cui si entra in contatto, attraverso le occasioni a cui si deve comunque prender parte.

Gli Innovation Talks della Bologna Business School ci hanno rese felici del nostro mestiere, perché sono state una splendida lezione di confronto e un ottimo punto di partenza per sentire nascere in noi la voglia di osare ancora di più.

 

Photo by Giacomo Maestri

Albero della Vita

Gita a EXPO 2015. Cosa ci ha convinti e cosa no

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A ridosso della sua chiusura (siamo certi, trionfale), in agenzia abbiamo indetto una riunione straordinaria e urgentissima per decidere il da farsi su EXPO.  Da troppo rimandavamo, tutti presi da priorità che finivano sempre con l’avere la meglio su ogni timido tentativo di prenotare un’alta velocità verso Milano. A volte però l’unico modo per fare qualcosa è –incredibile ma vero- farla e così, combinando cinque agende, abbiamo cerchiato di rosso un lunedì da dedicare esclusivamente alla nostra gita fuori porta. Non è pensabile, per un’agenzia che progetta eventi, perdersi la possibilità di fare le pulci a un’organizzazione altrui.

Non so voi, ma nei nostri resoconti incrociati, abbiamo ricevuto tantissime voci discordanti. Chi è rimasto impressionato partendo con aspettative molto basse, chi ha patito le eccessive presenze, chi ha riscoperto un certo orgoglio nazionale nel sentirsi ospite di un evento di cui tutto il mondo, da mesi, parla. La verità, io credo, è che un EXPO così vicino a casa è un evento eccezionale, ed è impensabile lasciarsi sfuggire l’occasione di farsi la propria idea.

Le premesse, dobbiamo dirlo, non erano delle più incoraggianti. Da settimane, i racconti di file interminabili e padiglioni straripanti di visitatori rimbalzavano di bocca in bocca, occupando siti, lamentele, racconti (forse metropolitani forse no) di falsi passeggini e improbabili invalidi salta-fila.

Scene di ordinaria follia da evento di super successo, insomma.

Armati quindi di santa pazienza e di quel tanto di spirito combattivo necessario, ci siamo messi in coda.

L'ingresso ai tornelli di EXPO

L’ingresso ai tornelli di EXPO

Voi lo sapevate che un uomo può sopravvivere tre ore in piedi, circondato da almeno un migliaio di altri esseri umani, muovendosi di circa mezzo centimetro ogni quaranta minuti? La nostra esperienza al di qua dei tornelli sembra averci (quasi) convinti che sì, di tanto in tanto può capitare.

Il Padiglione Italia

Il Padiglione Italia

Finalmente dentro, siamo andati dritti dritti al Padiglione Italia, immersi in un racconto eccezionale che ci ha lasciati completamente affascinati. Strutture leggerissime e flessuose, a cornice di un avvolgente percorso tra le meraviglie del nostro Paese, dagli straordinari paesaggi alle architetture storiche alle espressioni artistiche che l’intero mondo ci invidia, il tutto proiettato in stanze completamente rivestite da schermi e specchi.

Una vera full immersion per il visitatore!

Tutto il resto è stato un grand tour di padiglioni commentati dall’esterno, passeggiando lungo il decumano ma senza lasciarci sfuggire i sentieri meno battuti e le visite curiose (Gabon e Ghana, dobbiamo dire, deludenti, due Paesi che avrebbero molto da dire in tema di alimentazione e agricoltura e che si sono tradotti invece in una sorta di bazar d’oggettistica).

Il Padiglione Vanke, progettato dall'architetto statunitense Daniel Libeskind

Il Padiglione Vanke, progettato dall’architetto statunitense Daniel Libeskind

Particolarmente impressionanti la Russia decisamente imponente, l’irraggiungibile Brasile (anche solo fino all’ormai famosa rete elastica di accesso), gli affollatissimi Stati Uniti e un sempre amato Belgio (qui però, con Paola in ufficio, siamo decisamente di parte!).  Grandissimo rimpianto, esserci persi il Padiglione del Giappone che sembra essere stato tra i più apprezzati e che forse ci avrebbe anche regalato un po’ di utilissimo spirito zen!

La nostra Paola, orgogliosa del suo heritage belga !

La nostra Paola, orgogliosa del suo heritage belga !

In un attimo si è fatta l’ora di tornare e, come forse in tutte le escursioni, la sensazione è stata quella di non aver avuto abbastanza tempo per lasciarsi coinvolgere dai dettagli, dalle differenti atmosfere, dalle voci cosmopolite che si raccontavano da ogni angolo di mondo.

E quindi, tiriamo di nuovo fuori le agende, toccherà andare a Dubai nel 2020.