Paola Bracke, Autore a Laboratorio delle Idee

MuSa - Museo di Salò

Labidee Da Vedere: “Da Giotto a De Chirico” al MuSa di Salo’

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Da Giotto a De Chirico. I tesori nascosti” è la mostra, a cura di Vittorio Sgarbi, che lo scorso weekend sono andata a vedere in compagnia di mio fratello (animo da filosofo classico prestato al mondo dell’economia londinese). Come il titolo stesso suggerisce, il progetto nasce dal desiderio di mostrare i tesori “nascosti e protetti” delle più importanti collezioni private italiane. Si tratta quindi di un’esposizione che copre un arco temporale di oltre sette secoli attraverso una selezione di circa 180 opere.

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L’ultima mostra di Sgarbi che avevo visitato era stata “Da Cimabue a Morandi. Felsina Pittrice”, allestita a Bologna, a Palazzo Fava, da gennaio a maggio 2015. Confesso che su questa mostra ero partita un po’ prevenuta (forse influenzata anche da tutte le polemiche che l’avevano preceduta), ma, alla fine, mi era piaciuta molto! Mi avevano colpito in particolare due cose, che poi ho ritrovato anche al MuSa di Salò: 1) allestimento essenziale ed elegante, 2) didascalie giganti.

Avendo l’animo da medievista, la mia sala preferita non poteva che essere la prima: per me, iniziare la visita di un’esposizione vedendo una Madonna attribuita a Giotto e un piccolo Crocifisso di inizio ’300 è come, per un uomo, vedere una partita di calcio dell’Italia che inizia con un rigore.

Mostra Sgarbi 2

Aggirandomi per le sale non mi sono certo mancati i grandi nomi, da Tiziano a Guido Reni, da Guercino a Guttuso, ma ad avermi colpito più di tutti è lo splendido San Vincenzo Martire di Ludovico Carracci: davvero un’opera di straordinaria bellezza.

Mio fratello, invece, si è scoperto fan di Simone Cantarini, presente in mostra con un potente Doppio ritratto. …Eccolo l’animo del filosofo che cerca la verità negli occhi di un uomo del ’600!

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Anche se nell’insieme la mostra è ben strutturata, l’ultima sezione ci ha un po’ spiazzati. Infatti, gli artisti del XX secolo sembrano sacrificati in pareti troppo piccole che li costringono su più livelli, dando un effetto d’insieme un po’ confuso.

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Comunque, alla fine della visita, resti con un buon ricordo: le sale sono fresche e spaziose, le opere sono poco conosciute e il personale è giovane e accogliente.

Non ho avuto modo di vedere i bagni (che come spiega qui il Direttore di Brera, James Bradburne, sono importantissimi), ma penso di essere realistica immaginandoli ordinati e puliti come tutta Salò.

 

Alcune considerazioni generali:

PRO

1.Una mostra a Salò. Trovo che allestire una bella mostra in un luogo di villeggiatura sia sempre un’idea fantastica. Durante l’estate, i Comuni che si affacciano sul Lago di Garda godono di un’affluenza massiccia di turisti e, poiché il giorno di pioggia/noia/insofferenza può sempre capitare (anche in vacanza!), avere a disposizione una valida alternativa culturale al divano di casa è un dono prezioso.

2.La comunicazione. Impossibile arrivare al Lago senza sapere della mostra allestita al MuSa: ci sono manifesti e locandine ovunque. Praticamente, è la prima cosa che si vede arrivando dall’autostrada. Perfetto.

Mostra Sgarbi 53. Le didascalie. Ormai, l’avrete capito, queste didascalie mi son proprio piaciute! A occhio direi che avessero almeno 30 cm di larghezza: il che significa poterle leggere senza doversi chinare, inforcare gli occhiali o sgomitare con gli altri visitatori. Ultimamente, ci si imbatte spesso in didascalie minuscole, figlie di una visione estetica che mette al centro l’opera invece del visitatore; ovvero, ideate dalla mente del curatore e non dell’organizzatore. Per fortuna, non è questo il caso.

CONTRO

1.Il titolo della mostra. “Da Giotto a De Chirico”… Il primo pensiero di qualcuno che ha studiato storia dell’arte non può che essere “Aiuto!” Detto questo, capisco che il grande pubblico, anche di stranieri, ha bisogno di titoli facili. Marco Goldin docet.

2.Il costo del biglietto. Ben €16 il costo del biglietto intero, €14 il ridotto. Cominciano a essere soldini! Purtroppo per qualcuno è sicuramente un prezzo proibitivo; immagino ad esempio una famiglia di 3 persone: 2 adulti €32 + 1 bambino (sopra i 6 anni) €14 = €46…

3.L’audioguida. Carina l’idea di sentire la voce di Sgarbi che spiega le opere esposte. Tuttavia, le spiegazioni sono molto molto essenziali: nella maggior parte dei casi non aggiungono un granché alle didascalie. Per chi volesse approfondire la conoscenza di determinate opere non resta che affidarsi al catalogo. Tuttavia, è da elogiare il fatto che l’audioguida sia disponibile anche in inglese e tedesco.

 

INFORMAZIONI PRATICHE

MuSa Via Brunati, 9 – Salò (BS)

Visitabile dal 13 aprile al 6 novembre 2016

 

Orari:

Fino al 31 Agosto → mar-ven: 10.00-20.00; sab-dom 10.00-22.00

Settembre → mar-ven: 10.00-18.00; sab-dom 10.00-20.00

Ottobre-Novembre → mar-dom: 10.00-18.00

 

Costi:

Biglietto intero: €16

Biglietto ridotto: €14

Gruppi scolastici: €12

 

Catalogo: edito da Maggioli Editore, €49

 

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Labidee Da Vedere: “La figura mancante” a Santa Maria della Vita

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A Bologna ci sono tre luoghi imprescindibili per qualunque turista: il complesso di Santo Stefano, la Basilica di San Domenico e il Santuario di Santa Maria della Vita. Quest’ultimo, in particolare, è una vera chicca: chi entra non può non rimanerne affascinato.

Inoltre, il Santuario custodisce quello che è uno dei capolavori della scultura del Quattrocento italiano: il Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell’Arca. E’ senza ombra di dubbio una delle opere che meglio rappresenta l’arte locale tra medioevo e rinascimento: la forza espressiva che sprigiona ogni figura del gruppo scultoreo non ha pari nell’arte italiana dell’epoca. E’ proprio quella drammaticità che ha sempre contraddistinto l’arte bolognese dalla composta arte fiorentina. Quell’urgenza di vivere. Basti guardare la drammatica corsa di Maria Maddalena sull’estrema destra. Quell’urlo… sembra proprio di poterlo sentire.

E’ da questo gruppo scultoreo che nasce il progetto fotografico “La figura mancante” di un giovane studente dell’Accademia di Belle Arti di Bologna: Giuseppe Anthony Di Martino.

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Abbiamo conosciuto Giuseppe in occasione della biennale di Foto/Industria, durante la quale si è occupato di mediazione culturale all’interno della mostra di Pierre Gonnord. Chi meglio di un giovane fotografo poteva spiegare al pubblico lo sguardo di un grandissimo maestro?

Chissà se proprio durante la biennale è nata l’ispirazione per la mostra!
“La figura mancante” nasce dalla ricerca dell’ipotetica ottava figura che in origine andava a completare il gruppo scultoreo. L’artista attende pazientemente che lo sguardo dei visitatori incontri le sette figure del Compianto generando un intimo rapporto tra lo spettatore e l’opera e catturando quest’attimo con il suo obiettivo. Il risultato è un autentico esempio di “partecipazione attiva”.

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La mostra è composta da sette piccole fotografie in bianco e nero, di formato quadrato, montate su pannelli di color grigio chiaro. L’allestimento è creato su un gioco di luci che fanno da tessuto narrativo. Il dialogo tra spettatore-fruitore e opera stessa genera quello che l’artista definisce “osservazione dell’osservazione”.

L’esposizione diventa così un’originale lettura contemporanea dell’opera quattrocentesca e un felice pretesto per tornare a godersi, ancora una volta, Santa Maria della Vita.

A noi di questa mostra è piaciuto tutto: l’idea, le opere, l’allestimento e, l’avrete capito, l’artista!

“La figura mancante”

Museo della Sanità e dell’Assistenza

Complesso monumentale di Santa Maria della Vita

Via Clavature 8-10, Bologna

30 Aprile – 15 Maggio 2016

Ingresso gratuito

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La mostra dell’anno: Ai Weiwei @RoyalAcademy

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Domenica 13 dicembre ha chiuso alla Royal Academy di Londra la grande retrospettiva sull’artista dissidente cinese Ai Weiwei, definita da Il Sole 24 Ore: «la mostra più attesa dell’anno».
Aspettando di sapere quanti biglietti siano stati staccati nell’arco di questi tre mesi, abbiamo già una certezza: l’esposizione è stato un grande successo di pubblico e di critica.

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Grazie a una toccata e fuga in Inghilterra, anch’io sono riuscita a vedere la mostra e a farmi un’idea su quello che oggi è considerato uno degli artisti più influenti al mondo, famoso tanto per la sua arte quanto per il suo impegno politico, di aperta opposizione al regime cinese.

L’esposizione si sviluppava in undici sale molto spaziose, collocate al piano nobile dell’edificio, all’interno delle quali le opere di Ai Weiwei trovavano il loro ambiente ideale. La caratteristica più evidente di tutti i suoi lavori è la loro capacità di esprimere una forte e distinta identità cinese, dalla scelta di materiali (come il marmo, la giada e la porcellana), alle associazioni con la loro storia imperiale, fino al recupero di oggetti antichi. Alcune opere sono davvero impressionanti, sia come dimensioni sia come ricercatezza nei dettagli: infatti, l’artista collabora a stretto contatto con un piccolo team di artigiani altamente qualificati, cercando sempre di approfondire le connessioni tra il suo lavoro e le antiche tradizioni dell’arte cinese. Per questo le sue sculture riescono ad essere sempre visivamente molto impattanti e, allo stesso tempo, a nascondere numerosi significati.

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Tra le opere presenti in mostra, due in particolare mi hanno lasciato senza fiato. La prima è una commemorazione dei cinquemila bambini morti nel terremoto di Sichuan nel 2008, che occupava un’intera sala: novanta tonnellate di ferro contorto che Ai Weiwei ha recuperato dai resti delle scuole distrutte e ha pazientemente raddrizzato a mano, con i nomi di tutte le vittime scritti sui muri. Un’opera fortissima e commovente. Nella stessa sala era presente anche uno schermo con un video del making-of dell’opera, che, ovviamente, attirava altrettanto interesse.

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La seconda opera riguardava l’arresto di Ai Weiwei e il suo periodo di prigionia nel 2011, durato 81 giorni. La penultima sala era dedicata alla ricostruzione della cella in cui l’artista era stato rinchiuso: sei diorami raffiguravano sei diversi momenti della giornata durante la sua prigionia. Il visitatore poteva osservare le scene da apposite finestrelle, come se stesse spiando dal buco della serratura. Geniale anche la tappezzeria della sala: manette e telecamere dorate che incorniciavano l’uccellino di Twitter con il viso di Ai Weiwei. L’artista, infatti, è celebre per la sua attività online, tra blog e social network, tanto da dichiarare: «Non c’è distinzione tra la mia attività su internet e la mia arte». E la mostra della Royal Academy ha saputo evidenziarlo molto bene.

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Se però non siete riusciti ad andare alla mostra di Londra e vi state chiedendo dove potete vedere le sue opere, la risposta è molto semplice: sulla Luna! L’ultimo lavoro di Ai Weiwei, Moon, nasce dalla collaborazione con lo straordinario Olafur Eliasson, ed è un esperimento di arte partecipativa online. Questa volta non potete proprio perdervelo!

Alcune considerazioni personali sulla mostra

  1. La tanto temuta fila per entrare alla Royal Academy. Inizio subito col dire che l’attesa per coloro che non erano riusciti a prenotare (tra cui, ovviamente, c’ero anch’io!), non è stata poi così tragica come volevano farti credere: mezz’ora. Mio padre mi rinfaccia ancora oggi le tre ore di fila fatte nel 2010 per vedere Caravaggio alle Scuderie del Quirinale: insomma, in Italia, quando ti dicono che c’è da aspettare, sai già che conterai le ore, non i minuti! Verso la fine della coda, quando ormai intravedevo le casse, ho pensato che anche per partecipare alla performance di Marina Abramovic, nel 2014 alla Serpentine Gallery, aspettai trenta minuti in fila e, allora, avevano addirittura creato l’hashtag #SGqueue… Si vede che gli inglesi non sono abituati, beati loro!
  2. Il prezzo del biglietto. Il biglietto intero costava £17.60 (circa €24), a dimostrazione che la cultura ha un valore e che, soprattutto all’estero, vi sono persone che lo riconoscono. Ho molto apprezzato che nel costo di ingresso fosse compresa l’audioguida, assolutamente imprescindibile per poter capire il lavoro di un artista complesso come Ai Weiwei. Tutte le opere avevano una loro spiegazione e un commento da parte del curatore Adrian Locke. C’è poco da dire: soldi ben spesi!
  3. La comunicazione. A livello comunicativo, la Royal Academy non ha dovuto fare molta fatica: Ai Weiwei è uno straordinario comunicatore – soprattutto attraverso i new media e i social network – e ogni vicenda che lo riguarda è di per sé una notizia. Inoltre, la polemica per l’arrivo del premier cinese a Londra nel mese di Ottobre e il conseguente ritiro del visto all’artista (atteso all’opening della mostra) hanno contribuito a creare ulteriore scalpore e interesse attorno all’esposizione. Non credo sia stata tutta una trovata pubblicitaria, ma immagino abbia sortito comunque l’effetto sperato!
  4. Foto sì o foto no? A differenza dei divieti imposti nella maggior parte dei musei italiani, qui non solo era consentito scattare foto, ma i visitatori erano invitati a postarle pubblicamente sui social network con l’hashtag #AiWeiwei. Insomma, tutto in perfetto stile Ai Weiwei, secondo il quale la tecnologia ci rende uomini liberi e la chiamata alle armi è «Never retreat, retweet13
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Inaugurazione Foto/Industria 2015

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Venerdì 2 ottobre 2015, tra vento e pioggia, ha inaugurato la seconda edizione di FOTO/INDUSTRIA con una conferenza stampa che però ha scaldato tutti!

Quest’anno la manifestazione propone 14 mostre, a ingresso gratuito, dislocate in 12 prestigiose sedi del centro storico di Bologna e al MAST.

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